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  • Immagine del redattoredani conti

“Lei è mamma?”


Questa è una domanda che nella pratica quotidiana con i bambini e le bambine, ma soprattutto con i genitori, mi viene posta parecchio di frequente:

Scusi, ma lei è mamma?”


Dietro questa domanda, apparentemente innocua, si cela una distorsione delle professioni sociali o anche dette “professioni di aiuto” (educatore, maestra, operatore assistenziale, operatore sociale) che vengono comunemente intese connesse all'accudimento e pertanto prerogativa delle donne.

Come se, l'essere mamma ci rendesse professioniste migliori e più competenti (….e non esserlo, peggiori e meno competenti).

Le professioni sociali o di aiuto sono davvero prerogativa delle donne?

Risponderei senza alcun dubbio “No


Può venirci in aiuto il famigerato, quanto mitico, concetto di “istinto materno” per comprendere l'ingenua supposizione che l'accudimento sia esclusiva della donna.

Dando una sintesi delle definizioni che troviamo nei dizionari, l'istinto materno sarebbe il bisogno innato di avere un bambino e l'innata abilità di accudirlo.

Il luogo comune lo intende come una predisposizione biologica, un impulso innato che guida la donna verso il divenire mamma. Quasi necessariamente.


Tuttavia, rivolgendoci alla letteratura scientifica, non esiste una definizione universalmente accettata. La ricerca più significativa la troviamo in ambito antropologico con risultati che smentiscono le definizioni comuni dell'istinto materno.

Le donne non sono madri naturalmente ed essenzialmente. (…) La maternità non è istintiva, ma dipende da diverse condizioni ambientali e individuali intorno alla donna” (Sarah Blaffer Hrdy).

Pertanto, essere e divenire mamma non è innato né frutto di predisposizione biologica, invece è un insieme di comportamenti e atteggiamenti indotti da modelli sociali e sentimenti socialmente appresi.

In psicologia Paula Nicolson parla di “mito dell'istinto materno” e sostiene che l’inclinazione delle donne verso un ruolo materno è generalmente condizionata da fattori sociali, dalla pressione della società e dei suoi membri.

Come indica Gillian Ragsdale (insegnante di psicologia alla Open University nel Regno Unito) il concetto di istinto viene confuso con quello di pulsione: l’istinto è un comportamento schematico e fisso di una specie animale, che non lascia alcuna libertà di scelta; la pulsione, invece, è un meccanismo psicologico che si fonda sul bisogno, sulle esigenze del momento e il contesto in cui si vive.

Sarebbe più corretto dunque parlare di bisogno di diventare madre.


Il mitico istinto materno ha dato origine (nostro malgrado!) a quello che potremmo definire stereotipo di genere secondo cui l'accudimento è esclusiva della donna e ancora di più in maniera innata.

Uno stereotipo che agisce nelle nostre interazioni sociali, nei modelli educativi utilizzati con i bambini e le bambine, con i nostri figli, alunni, allievi, collaboratori. Uno stereotipo che agiamo tutte le volte in cui scegliamo un giocattolo per un bambino o una bambina, o un capo di abbigliamento di un colore e non di un altro. Uno stereotipo che emerge prepotentemente tutte le volte che giudichiamo una donna per aver dato priorità alla carriera e non all'essere mamma.


Ciò che può salvarci dagli stereotipi di genere in cui siamo immersi, è la consapevolezza.

Una qualunque scelta, che sia di diventare mamma, che sia di investire nella propria vita professionale, che sia di fare l'astronauta, la ricercatrice, la maestra, il medico, l'ingegnere, la casalinga andrebbe fatta ascoltando le proprie attitudini, desideri, bisogni, sogni, propensioni.

Dovremmo educare i nostri bambini e le nostre bambine ad ascoltarsi.

Dovremmo guidare i nostri bambini e le nostre bambine ad esprimere liberamente i propri interessi e le proprie attitudini.

Legittimiamo e rafforziamo le differenze individuali, a discapito delle differenze di genere.


Ad una professionista del settore infanzia, piuttosto che chiedere “scusi, lei è mamma?” dovremmo chiedere “cosa l’ha portata a scegliere di lavorare per bambini e bambine, mamme e papà?” O ancora “qual è la sua formazione e la sua esperienza in merito?

Quando dialoghiamo con un professionista, piuttosto che valutare se ha “istinto materno”, impariamo a cogliere la sua capacità empatica, proviamo ad osservare come guarda e parla ai bambini e alle bambine, proviamo a sentire se siamo accolti o al contrario giudicati.

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